- Dec 2020
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Sed subtilius perscrutandum est cur tot flagella pertulit, qui tantam virtutum custodiam sine reprehensione servavit
L'espressione 'Sed subtilius perscrutandum est' indica una prassi molto comune nell'esegesi biblica di Gregorio Magno, vale a dire quella di trattare il medesimo argomento o versetto biblico su più livelli, procedendo per gradi che non rispettano necessariamente il classico iter dei sensi della Scrittura. Se, in questo caso, il paragrafo precedente ruotava intorno a un generico possesso, da parte di Giobbe, di virtù praticate in momenti di tranquillità ma rese note ai più perché manifestate anche nella tribolazione, la parte iniziale del terzo capitolo della praefatio dei Moralia in Iob si propone di approfondire tale argomento esaminando subtilius il motivo alla base delle sventure abbattutesi su Giobbe, uomo virtuoso.
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- Jul 2019
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Credunt ergo beatum Iob in suis sermonibus deliquisse, minus caute intuentes, quia si beati Iob responsa redarguunt, falsam etiam de eo Domini sententiam fuisse testantur. Diabolo namque a Domino dicitur:Considerasti servum meum Iob, quod non sit ei similis super terram: vir simplex et rectus ac timens Deum, et recedens a malo(Gb1, 8)? Cui a diabolo mox respondetur:Nunquid gratis Iob colit Deum? Nonne tu vallasti eum cunctamque familiam eius? Sed mitte manum tuam, et tange eum, si non in faciem benedixerit tibi(Gb1, 10 [9-11]). Hostis itaque in beato Iob vires suas exercuit, sed tamen certamen contra Deum assumpsit. Inter Deum itaque et diabolum beatus Iob in medio materia certaminis fuit. Quisquis ergo sanctum virum inter flagella positum, dictis suis peccasse asserit, quid aliud, quam Deum, qui pro illo proposuerat, perdidisse reprehendit? Ipse quippe in se tentati causam suscipere voluit, qui eum et ante flagella praetulit, et praeferens tentari per flagella permisit.
Vi è qui una prima applicazione del principio, espresso nel terzo capitolo dell’epistola dedicatoria, secondo il quale vi sono dei passaggi scritturali che, se intesi superficialmente, inducono il lettore all’errore. In questo passaggio, Gregorio si riferisce alle già citate risposte di Giobbe delle quali, nel paragrafo precedente, aveva sottolineato la fraintendibilità e, con essa, l'implicita necessità di andare oltre l'interpretazione letterale. I minus caute intuentes, vale a dire coloro che, interpretando le sue parole alla lettera, credono che Giobbe abbia peccato nei suoi discorsi, corrono infatti il rischio di fraintendere anche la sententia del Signore, schieratosi dalla parte di Giobbe. Dio abbraccia la causa della sua creatura (in se tentati causam suscipere voluit) e non interpretare correttamente le parole di Giobbe significa, in ultima analisi, ammettere che il diavolo ha vinto la scommessa. Da questo punto di vista, dunque, un’esegesi errata implica un’errata comprensione della posizione di Dio rispetto alla sofferenza di Giobbe.
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Scriptum quippe est:In omnibus his non peccavit Iob labiis suis(Gb1, 22). Et quidem quaedam verba responsionum illius imperitis lectoribus aspera resonant, quia sanctorum dicta pie intelligere, sicut dicuntur, ignorant; et quia animum dolentis et iusti in semetipsis assumere nesciunt, ideo doloris verba bene interpretari non possunt. Mentem quippe patientis bene pensare novit condescensio passionis.
Nella praefatio dei Moralia in Iob il commento di Gregorio al libro di Giobbe non è ancora sistematico e ciò è testimoniato anche da questo passaggio. Qui il pontefice si serve di un versetto biblico solo per convalidare le tesi precedentemente presentate e, in particolare, quella per cui il Signore fa sì che nella tentazione i meriti di Giobbe crescano. Nel versetto si dice che Giobbe non peccò con le sue labbra ma ciò, secondo Gregorio, può essere compreso solo da chi interpreta correttamente alcune sue risposte particolarmente aspre. La citazione, infatti, è seguita da una breve raccomandazione esplicitamente indirizzata ai lettori e, implicitamente, anche allo stesso Gregorio: per interpretare correttamente alcune espressioni pronunciate da Giobbe, è necessario farlo con la stessa pietà (pie) con la quale sono state pronunciate. A ciò si collega la prima occorrenza, nei Moralia, del termine condescensio, che in questo caso indica la capacità di mettersi sullo stesso piano di chi soffre per comprenderne lo stato d’animo. Tale operazione è, secondo Gregorio, fondamentale per la corretta esegesi del libro di Giobbe ed è lui stesso a compierla, come del resto aveva già preannunciato nell’epistola dedicatoria quando aveva ricondotto al piano provvidenziale divino il fatto che lui stesso, al pari di Giobbe, era stato colpito dalle sventure. (Ad Leandrum, 5, PL 75, 515C) Egli, inoltre, sembra nella stessa lettera esprimere la medesima idea di condescensio riferendola, a differenza del presente caso, alla praedicatio, senza tuttavia utilizzare direttamente il termine qui presente per la prima volta. (Ibid., 3, 513C).
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